Uno, nessuno, centomila.

Oggi ero felicemente seduta in un bar, avevo il mac davanti a me, una buona colazione all’italiana –una di quelle con cornetti pieni di tutto, ma con cappuccino senza zucchero, che fa male!– un libro di P.N.L. pieno di post-it colorati e una fantastica pagina bianca da scarabocchiare. 

Ho messo gli auricolari e cliccato play su una playlist ritmo con canzoni straniere, quelle che ti permettono di sentire e non ascoltare, di isolarti dal contesto e entrare in un mondo parallelo.

Ed io ero lì, intenta ad entrare proprio nel mio mondo parallelo, carica come un wrestler sul ring. Un attimo di stretching per preparare le dita ad accompagnarmi in una mattinata nebbiosa e grigia e proprio quando ero pronta…PUF! Incrocio lo sguardo di un uomo che era insieme ad un gruppo di amici: vede il mio libro e immediatamente, senza pensarci un attimo, si catapulta sul mio tavolo! Dimenticando il motivo per cui era entrato, scordando il seguito di amici si siede accanto a me e, stringendo il libro tra le mani, mi chiede un parere su quali potessero essere i modi per utilizzare questo prezioso strumento.

La conversazione è durata non più di cinque minuti.

La musica intanto andava e le persone intorno ridevano, studiavano, ordinavano la loro colazione.
Il mondo intanto andava e io immobile riflettevo sull’accaduto.
 
Magritte, Golconda.

Ero entrata in un bar felice di potermi isolare dal mondo in un posto in cui il mondo va per esistere.
Ero lì felice di poter avere le coccole che desideravo in quel momento e il quantitativo di ossigeno necessario per sopravvivere ad una pagina bianca.
Ero entrata lì con l’intenzione di scrivere guardando in sottofondo un film muto e ascoltando qualcosa di forte che mi riportasse al mio silenzio.

E invece qualcuno mi ha disturbata, mi ha provocata, mi ha ridestata.

Quante volte ci cerchiamo fuori dai luoghi in cui potremmo essere cercati da altri?

Sembra quasi avessimo necessità di stare da soli in mezzo agli altri, di stare con noi stessi insieme agli altri, di sapere che c’è qualcuno a cui tendere la mano.
Sembra quasi avessimo bisogno di sapere che non siamo uniche micromachine nella officina della vita.
Sembra quasi avessimo necessità di irrobustire la nostra solitudine contrastando una realtà umanamente viva.

Ed è bastato un uomo che sul tavolo ha visto un pezzo di sé, un copione della caccia al tesoro della sua vita, un’immagine conosciuta.
È bastato il suo bambino libero che lo ha spinto a disturbare il mio campo protetto, a irrompere nella mia cella di ferraglia. Semplicemente.

Ho aperto gli occhi e come me tanti lì avevano occhi solo per le proprie pedine che difendevano il territorio su cui mettere in mostra pezzi di sé, bancarelle al mercato del vissuto.

Eravamo tanti zombie ben vestiti, tanti uno più uno più uno…tanti e pochi. Soli e in compagnia. O forse semplicemente in compagnia della nostra solitudine faticosamente produttiva.

E intanto in tv la radio passava il video di una canzone anni ’90, che tutti riconoscevano, ma nessuno ascoltava perché tutti –come me– avevano auricolari alle orecchie, pc acceso, libro aperto e cellulare sulle ginocchia.

Cosa vogliamo da questa vita? Vogliamo qualcuno che ci faccia compagnia o soltanto persone-cuscinetto che attutiscano le nostre cadute? O forse ancora vogliamo semplicemente qualcuno o qualcosa che faccia ciò che desideriamo esattamente in quel momento?

Non so quale sia la realtà e non conosco la scelta più congrua.


Ringrazio soltanto quest’uomo che con un semplice sorriso e occhi spalancati nel vedere sé proiettato in un libro un po’ malconcio è saltato sul trampolino della mia vita ed ha acceso la luce: eravamo io, lui ed il mondo intero intorno.



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