E fuori è...bianco!

Che poi è incredibile.
I bambini fuori giocano felici con la neve, i grandi li guardano con invidia e li aiutano a costruire un pupazzo che abbia una simil forma comica.
Le donne guardano le vetrine degli abiti bianchi con ammirazione, incanto e stupore.
La panna morbida e gonfia ti spinge ad avvicinarti e a toccarla con un dito proprio come le nuvole quando sei in volo e apri il finestrino accostando la punta del naso a quella purezza.
Le pareti di una casa che trasmettono ordine e serenità e fanno risaltare i colori degli arredamenti e i sorrisi delle persone.
Il bianco accogliente di un maglione invernale morbido, a collo alto, che ti abbraccia come un orsacchiotto polare che ricorda il cashmere di Cucinelli.
Il bianco della barba del nonno, di Babbo Natale, delle anziane signore sedute sull'uscio nei paesini che aspettano il tempo che passa e che sanno di saggezza, di quella cosa che si guadagna solo quando arriva la chioma chiara, pura, bianca.
Le parrucche delle donne e uomini di una volta che si facevano ritrarre da grandi pittori. Eleganti, ricchi, alti.
Il bianco che si presenta con una veste che non urla, parla con tono mite, calmo. 
Il bianco che prende quel ritmo costante, cadenzato, conosciuto.
É un profumo, un sapore, un'immagine. 
É un foglio bianco, una spazio, un punto.
Il bianco è purezza, è pace, è respiro.

Il bianco genera e uccide. È inizio e fine. 
I bambini fuori giocano felici con la neve e le donne indossano emozionate l'abito bianco e i soldati sventolano finalmente la bandiera bianca per arrendersi difronte alla vita che rimane.
I bambini sono istintivi e si lasciano provocare dalle bellezze del mondo. 
Conservano l'attitudine al bello.
Preservano.
I bambini davanti al bianco si buttano a braccia aperte e ridono, a braccia aperte davanti alla neve che invade ogni piccolo pezzetto di pelle lasciato scoperto. 
Respirano a polmoni aperti e pieni e ampi.

Eppure cosa è il bianco? è un colore, è una risposta, è un dato. 
Il bianco è una percezione frutto di un processo neurologico.
Quindi non ogni bianco è lo stesso bianco, non ogni percezione è identica all'altra, non ogni immagine è uguale ad altre.

Se il bianco è un output di un procedimento che interessa noi, quanto la purezza che vediamo all'esterno è obiettiva realtà?
Se passa attraverso noi -mi chiedo- quanto ciò che vediamo non sia piuttosto il frutto di una esigenza interiore, lo specchio riflesso di ciò che non ci diciamo.
Quanto la bellezza e l'accoglienza della neve non sia altro che l'estrinsecazione del desiderio di divertirsi come bambini.
Quanto il maglione caldo non sia lo strumento per esplicitare che vogliamo un abbraccio.
Quanto l'abito bianco non sia un modo per dire che desideriamo appartenenza.
Quanto l'attrazione verso una pagina bianca non sia la verbalizzazione della voglia di ricominciare.

Forse abbiamo proprio bisogno che la pallina faccia sponda e torni al punto di partenza.
Abbiamo bisogno di sentire il rumore che fa quando tocca la parete del biliardo per ridestarci, aprire gli occhi nel bel mezzo della notte, sentire il vuoto allo stomaco d'improvviso.
Forse serve proprio questo momento per comprendere cosa vogliamo e affidarne la responsabilità ad un'immagine, fuori di noi.
Perché forse serve troppo coraggio per ammettere semplicemente di cosa abbiamo bisogno.
Forse per le nostre menti argute è troppo semplicistico seguire la strada più semplice come fanno i bambini.

Infatti forse rimarremo dietro un vetro a vedere i bambini che giocano, gli abiti in vetrina e le nuvole dal finestrino di un aereo.
Di certo da qui siamo al riparo dalla neve che impazza. 
E da noi stessi. 





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